I "pasquali" di Bormio: l'Agnello Pasquale e la sua simbologia

ILARIO SILVESTRI


La tradizionale sfilata e benedizione dei Pasquali che ogni anno si celebra a Bormio è l’eco di riti agrari propiziatori d’origine antichissima e comuni ad ogni società la cui economia fosse fondata sull’allevamento e sull’agricoltura.
Nei documenti del Bormiese se ne fa cenno con regolarità soltanto dall’inizio del XVIII secolo quando, nelle parrocchie, furono formalizzate le norme per l’acquisto dell’agnello; in tali brevi note amministrative traspare comunque che il rito aveva le sue origini  in epoche molto lontane.
È opportuno ricordare che tale uso non si praticò nella sola Terra Mastra di Bormio ma era nella tradizione di tutte le Vicinanze del Contado; in queste ultime non sopravvisse alle turbolenze del XIX secolo perché, in particolare dopo il 1868 quando furono confiscati i beni appartenenti alle istituzioni ecclesiastiche, le parrocchie non furono più in grado di reperire le risorse economiche per l’acquisto dell’agnello, risorse che invece a Bormio, in ogni rione, si continuò a cercare tra i residenti.
A Premadio, nei documenti parrocchiali, si annotò che la fabbriceria cessò nel 1870 di fare la dispenza dell’Agnello Pasquale che si costumava di dare al popolo il giorno di Pasqua, siccome il Regio Demanio vendette tutti i benni delle chiese ... fra questi fu venduto il fondo di cui era appoggiato questo legato ... non pagando più per questo fine più nessune rendite, d’altra parte il popolo cresciutto assai di numero e un montone venne ad essere poco per dare anche piccola porzione a tutti. Così cessò la dispenza della carne dell’Agnello Pasquale e non si fece più verun conto. Così sia.[1]
Da questa testimonianza e da quanto scriveva l’etnografo bormino Glicerio Longa all’inizio del secolo scorso, sembra che, in origine, l’uso del Pasquale si esaurisse nella benedizione dell’agnello già arrostito; tale costumanza convisse poi, a cavallo tra XIX e XX secolo, con quella della benedizione di un agnello vivo, graziosamente addobbato, che poi prevalse.[2]
La più antica testimonianza reperita, relativa alla tradizione del Pasquale nella Terra Mastra, è la convenzione conservata nell’archivio parrocchiale di Bormio del 18 aprile 1548 tra Antonio figlio di Cristoforo Valera, eletto sagrestano, e gli amministratori della chiesa di S. Vitale, unitamente agli anziani della Vicinanza di Dossiglio, di dare e consegnare omni anno in quolibet festo Paschatis Resurectionis Domini Nostri Yhesu Chrispi, agnum unum pinguem et suffitientem bene coctum et assatum in clibano et eum portandum ipsa die ad ecclesiam plebanam ad benedicendum et illum etiam consignandum et tradendum in contrata Dossilii ad locum solitum pro distribuendo vicinis.[3]
La più antica testimonianza relativa alle contrade è invece quella reperita nell’archivio parrocchiale di Oga nella convenzione del sagrestano appena eletto, Antonio di Cristoforo di Conforto, il quale concordò con gli anziani della chiesa di S. Lorenzo, il 23 aprile 1606, che sia tenuto far et consignar nel giorno della Santa Pascha a detti vicini un agnello d’un peso, bono et suffitiente, ben cotto et arostito.[4]
Il rituale appartiene al sacrificio delle primizie che i popoli primitivi ogni anno celebravano per riconciliarsi con le forze della natura e, con ogni probabilità, l’agnello cotto veniva consumato dalla comunità riunita: è da ricordare infatti che la celebrazione comune di un rito aveva molta più efficacia della celebrazione individuale. Certi popoli nordici di pastori usavano sacrificare il primo agnello nato nell’anno, facendone colare il sangue sulla terra; la carne arrostita veniva mangiata in comune nei campi, lasciandone qualche pezzo per gli spiriti della terra che dovevano rigenerare le piante, le erbe, i cereali, ecc.
Nella Bibbia si recuperò il rituale arcaico, caratteristico dei pastori nomadi e praticato da millenni dagli antenati degli Israeliti, e lo si integrò nella storia sacra del popolo di Dio caratterizzando la celebrazione dell’esodo dall’Egitto. La legge mosaica prescriveva che il primo mese di primavera ogni famiglia dovesse procurarsi un agnello senza difetto, maschio e nato nell’anno e tutta l’assemblea della comunità di Israele avrebbe dovuto immolarlo al tramonto mangiandone la carne arrostita al fuoco.
Come si noterà la succinte descrizioni del rituale del Pasquale nei documenti di Bormio non si discostano, essenzialmente, da quanto Mosè prescrisse agli Israeliti.
Il Pasquale, in conclusione, ripropone l’agnello ornato per il sacrificio che i primi pastori accompagnavano all’altare per ottenere fertilità e prosperità. Si tratta di un simbolo di struttura arcaica che il Cristianesimo integrerà e riproporrà nel proprio messaggio: Cristo diverrà l’Agnello il cui  sangue sarà rigenerazione e rinnovamento spirituale dell’umanità.
[1] Archivio parrocchiale Premadio. “Libro dei conti delle chiese di Premadio principiando col 1865” .
[2] G. LONGA. “Usi e costumi del Bormiese”, Bormio 1912, II Ed. Bormio 1998, pp. 158, 160.
[3] Archivio parrocchiale Bormio. “Verbali di adunanza della Vicinanza di Dossiglio e della chiesa di S. Vitale e di S. Spirito”.
[4] Archivio parrocchiale Oga. “convenzione tra la Vicinanza e il sagrestano”.
 
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